Quarantena all’aria apertalettura di 7'
È mezzanotte di un giorno qualsiasi, in questa vita sospesa che sta rendendo i martedì incredibilmente simili ai venerdì, ed entrambi spaventosamente somiglianti ai lunedì. È faticoso abituarsi a questo tempo immaginario, a questo limbo privo di scelte, in cui la nullafacenza che fino a pochissimo tempo fa mi sembrava perdita di tempo è tutto ad un tratto diventata la mia vita.
Non avrei mai pensato di ritrovarmi così, a dover fare i conti da un giorno all’altro con l’immobilità forzata. Ora mi sento mancare la terra sotto i piedi, e mi domando sempre più spesso chi io sia veramente. Fermarsi di scatto mentre si è in corsa, si sa, non fa bene al fisico.
C’è poi da fare i conti con la paura. Quella che non senti finché fai altro, la stessa che puoi tranquillamente ignorare quando la tua agenda è zeppa di impegni improrogabili. Sto facendo bene? Sono felice? Sono domande che non mi ero mai posto prima, troppo impegnato a correre dietro a tutto il resto. E che ora bussano minacciose alla porta della mia testa, e chiedono di entrare con sempre maggior veemenza. Arriverà il momento in cui anche gli altri potranno sentirle da quanto urleranno, e io non posso farci niente.
Sia chiaro, non sono sempre stato così. Anzi, questa situazione è per me quanto di più eccezionale si possa pensare; prima non ero mai a casa.
Sono sempre stato un uomo molto impegnato. Non che la cosa vi riguardi o che mi interessi vantarmene, ma ero uno dei pochi a potersi davvero definire qualcuno, prima. La mia agenda era piena di impegni, meeting, riunioni, incontri in pausa pranzo. Vedevo persone diverse tutto il giorno tutti i giorni, ed ero bravo a trovare per ognuno la parola giusta, la chiave di volta per convincerlo a partecipare ad un progetto, a finanziare questo o quello, ad affidarmi l’incarico su cui avevo puntato lo sguardo.
Ero abituato ad uscire la mattina molto presto e a tornare la sera molto tardi. Incastravo la famiglia nei ritagli di tempo tra un cliente e l’altro, perché solo così avremmo potuto permetterci lo stile di vita a cui io e mia moglie anelavamo. I miei figli forse ne hanno un po’ sofferto, ma non me ne hanno mai fatto una colpa: abbiamo tirato su dei ragazzi ragionevoli; sapevano bene che se volevano i vestiti i gioielli le macchine e i viaggi costosi mamma e papà dovevano lavorare, perché in questo mondo nessuno ti dà niente per niente. Giustamente, aggiungo io; in caso contrario non avrebbe alcun senso impegnarsi, e non ci sarebbe il progresso e l’umanità sarebbe composta da pigri rammolliti.
Grazie ai nostri sforzi i nostri figli vivono in una bella casa, con tanti spazi, e non si devono preoccupare di nulla. Hanno sempre ottenuto tutto quello che desideravano, anche se per me e mia moglie è sempre stato importante che capissero il valore delle cose. I viziati incapaci non mi sono mai piaciuti.
Ero felice della mia vita e del mio lavoro, anche se non posso negare qualche falla; del resto anche nel progetto migliore c’è sempre qualche punto debole. Piuttosto che ventiquattro ore, a me ne sarebbero servite quarantotto al giorno per fare tutto quello che avrei voluto. Avrei voluto riprendere seriamente la palestra, ad esempio. Quando ero più giovane adoravo il tennis, ma da anni non avevo più il tempo di allenarmi decentemente. In ogni caso, un po’ di esercizio con gli attrezzi sarebbe stato sufficiente per tenermi in forma; del resto sono ancora giovane e ho sempre attribuito una certa importanza all’immagine (chiunque metta il naso fuori di casa sa che l’immagine è fondamentale; chi afferma il contrario mente a se stesso e basta).
Avrei anche voluto dedicare più tempo ai miei figli; spesso, soprattutto ora che sono diventati grandi, ho avuto l’impressione di avere in casa due estranei. Il rapporto tra di noi è sempre stato affettuoso, certo, ma se ci penso bene non mi viene in mente una volta in cui tra di noi ci sia stato uno slancio di tenerezza, un abbraccio stretto. Forse è solo perché hanno preso entrambi da me: sono una persona che poco si presta alle effusioni. Del resto sono convinto che voler bene a un figlio significhi proteggerlo e fare in modo che abbia accesso alle migliori possibilità per realizzarsi. È questo che fa un buon genitore, perché in fondo con gli abbracci e basta non si creano certo adulti di successo.
Anche alle amicizie credo di aver dedicato un tempo piuttosto risicato. Comunque non penso che i miei amici ne abbiano mai risentito, dal momento che erano tutti come me; un aperitivo alla settimana era il massimo che riuscivamo a concederci, e la conversazione era continuamente interrotta dalle chiamate di lavoro di questo o di quello. Chissà, forse se avessi coltivato rapporti più stretti ora non mi troverei a così stretto contatto con la mia nuova amica solitudine; ma in fondo non ho mai trovato utili i rimpianti. “I se sono i marchi dei falliti!” ho letto da qualche parte una volta. E mi è rimasto piuttosto impresso, se ancora lo ricordo nonostante tutto.
Si dice che gli episodi drammatici della nostra vita possano essere letti anche come occasioni. Io non mi sono mai tirato indietro di fronte ad una sfida; il coraggio di osare è la chiave che permette di arrivare là dove gli altri arrivano solo nei propri sogni, e magari nemmeno in quelli. So che questo limbo in cui mi sono trovato catapultato da un momento all’altro potrebbe essere semplicemente un momento di respiro, una fase di passaggio obbligata per trovare nuove strade, un sentiero sconosciuto ai più ma che mi porterà a raggiungere vette inaspettate e altissime. Ma purtroppo non posso negare che la botta è stata dura e improvvisa; e che fino a poco tempo fa non avrei mai nemmeno immaginato di potermi trovare in una situazione del genere. Ammetto, ed è stato difficile farlo, che in questo momento mi sento un po’ perduto. Niente mi sembra più avere senso, e mi sento dannatamente solo. Mi chiedo come sia possibile che uno come me si sia trovato in questa situazione.
Due tizi accanto a me parlano di un qualcosa che sta destabilizzando il mondo: un nuovo virus, mi è parso di capire. Dicono che sono stati scoperti dei casi anche qui in Italia, e che sono state create delle zone rosse attorno ai focolai. Che la faccenda è seria, che la gente muore, che là dove è nato il virus il governo aveva obbligato le persone a stare in quarantena chiusi in casa.
Beh, ho pensato, non che la cosa mi riguardi. Del resto, dove potrei mai fare la quarantena, io che una casa non ce l’ho più? E se anche chiudessero uffici e negozi, cosa cambierebbe a me? Ho perso il lavoro da mesi e non ho soldi per fare la spesa. Dopo il divorzio, mia moglie mi ha tolto tutto. Una serie di sfortunate coincidenze mi hanno portato a vivere in mezzo alla strada e io che prima ero qualcuno adesso sono diventato il peggiore dei nessuno, un uomo invisibile. Girandomi dall’altra parte, ho pensato che se sarà destino, il virus arriverà anche qui e mi porterà via. So che non dovrei pensarlo, ma tanto già ora non mi resta più niente.
“E se metteranno la quarantena anche qui dove ci manderanno a farla? Ci daranno una casa apposta per chiuderci dentro?” Sta chiedendo uno dei due tizi, e l’altro gli risponde con una risata catarrosa: “Sì, e una volta finita l’emergenza ce la toglieranno di nuovo!”. Grasse risate.
Ho smesso di ascoltare le chiacchiere di quei due e mi sono rimesso a dormire sotto la mia lurida coperta. Hanno ragione, comunque: allo stare chiusi in casa ci pensi chi una casa ce l’ha, e a noi lascino la libertà; in fondo non ci è rimasto altro che quella.